Fabiano Lista

20 anni di dialisi tra 3 trapianti: non si deve mai smettere di lottare e di credere in se stessi!

Dopo la storia di Maria Rosaria Tammaro, donna di grande coraggio, presentiamo qui quella di un’altra persona che ha dovuto lottare contro la Malattia Renale Cronica per gran parte della sua vita: la storia di Fabiano Lista che, a partire dai 18 anni, è stata intessuta di difficoltà, attese, angosce ma anche tante speranze e che lui, per dare forza ad altre persone che possono trovarsi ora in una situazione simile alla sua, ha deciso di condividere con tutti.

A 17 anni Fabiano presenta domanda all’Aeronautica Militare per diventare allievo sottoufficiale pilota ma, durante le visite mediche in un centro militare di Napoli, viene evidenziata un’insufficienza renale che lui ignorava di avere. Alla diagnosi seguono alcuni ricoveri in ospedali di Matera e Parma ma le cure farmacologiche e la dieta specifica sembrano dare scarsi risultati e la Malattia Renale peggiora.

Fabiano cerca di affrontare la situazione con grande forza di volontà senza farsi vincere psicologicamente, nemmeno durante l’aggravarsi della malattia, forse senza rendersi completamente conto, nei primi anni, dell’odissea che stava per iniziare.

Da un nuovo ricovero a Bari, infatti, risulta che la malattia è arrivata allo stadio terminale, con urgente bisogno di avviare la terapia dialitica sostitutiva.

All’epoca, l’unico centro abilitato a questa procedura in Puglia era l’Ospedale Miulli di Acquaviva delle Fonti (BA) che aveva iniziato ad erogare i trattamenti dialitici nel maggio 1968 ed è lì che Fabiano viene trasferito e sottoposto a dialisi peritoneale per 5 giorni seguito dai compianti Dr. Chiarulli e Dr. Nicola Casucci (allora Primario).

Il 14 maggio 1969 inizia l’emodialisi con rene KIIL a piastre: tre sedute a settimana della durata di ben 12 ore – dalle sei del mattino alle 18 – per le quali Fabiano doveva percorrere 200 km in auto (tra andata e ritorno) senza mai saltare una seduta, in qualsiasi condizione atmosferica.

Fabiano ricorda quando gli fu creato lo Shunt artero-venoso sull’avambraccio destro, che lui definisce “croce e delizia” dei primi anni di dialisi, rinnovato più volte sugli arti superiori ed inferiori a causa di varie complicanze e poi sostituita dalla Fistola artero-venosa, anch’essa rinnovata più volte.

All’inizio per Fabiano non è stato facile accettare una vita dipendente dal Rene artificiale: “odiava” quella macchina a cui doveva ricorrere così tante ore a settimana ma allo stesso tempo sentiva di doverla “amare” perché gli consentiva di vivere.

Un cambiamento radicale per la sua vita ma, con la sua forza d’animo e l’aiuto dei medici, riesce ad affrontare la situazione con maggior sicurezza e consapevolezza: si rende conto che l’efficacia del trattamento dialitico è influenzata molto dal comportamento del paziente che, tra le altre cose, deve seguire le indicazioni dietetiche, controllare l’assunzione dei liquidi e rispettare la terapia farmacologica. Facendo costantemente tutto ciò, Fabiano inizia subito ad avvertire l’efficacia della dialisi e a sentirsi meglio: devi inevitabilmente modificare il suo stile di vita ma trova i cambiamenti gestibili ed un aiuto gli arriva anche dallo sviluppo delle nuove tecnologie nel campo della dialisi.

Dopo un anno dall’inizio dei trattamenti, infatti, il centro inizia ad utilizzare dei nuovi apparecchi in grado di ridurre notevolmente il tempo di dialisi.

Solo intorno ai 20 anni gli viene diagnosticata la sindrome di Alport, una rara malattia genetica ereditaria che comporta, oltre all’insufficienza renale cronica, anche grandi difficoltà uditive.

Nel 1970 Fabiano inizia a prendere in seria considerazione la possibilità di un trapianto renale: un intervento a quei tempi ancora “nuovo” e non molto praticato in Italia, per cui prende contatti con ospedali sia a Lione, in Francia, sia a Milano ed è proprio qui che viene chiamato nel 1981 per il primo trapianto, durato purtroppo solo 5 giorni per problemi di rigetto.

Il fallimento del trapianto fu un’amara delusione per Fabiano che però continua a lottare facendo appello a tutte le sue forze e, nel 1986, il suo coraggio viene premiato con la possibilità di un nuovo trapianto in una clinica belga: il rene funziona bene e la sua vita inizia a cambiare, tanto che dopo due anni incontra la sua “dolce metà” e la sposa nel 1989!

Il trapianto dura 14 anni ma alla fine va incontro ad un altro rigetto e così ricomincia la dialisi fino al terzo trapianto del 2001, sempre in Belgio, e siamo felici di dire che questo nuovo rene attualmente funziona ancora bene.

In tutti questi anni, la costante assunzione dei farmaci antirigetto ha determinato una forte depressione del suo sistema immunitario, causandogli due neoplasie maligne, anche queste affrontate con coraggio da Fabiano che spera di averle risolte.

In totale, tra un trapianto e l’altro, Fabiano ha trascorso circa vent’anni in dialisi, un lunghissimo periodo in cui è stato aiutato anche sul piano emotivo dal tutto il personale medico-infermieristico che lo ha seguito e che si è avvicendato nella struttura, fino all’attuale primario della Nefrologia e Dialisi del Miulli, il Dr. Carlo Lomonte: con molti di loro si è creato ciò che Fabiano definisce “un legame familiare, un rapporto di reciproca fiducia e rispetto tutt’oggi esistente”. E proprio il Dr. Lomonte, il 4 maggio 2018 – in occasione dei 50 anni di emodialisi al Miulli – ha conferito una medaglia d’argento a Fabiano, quale unico paziente ancora in vita tra quelli del 1969.

Vogliamo chiudere questo racconto con alcune parole che Fabiano ci ha scritto, da condividere con tutti insieme alla sua storia:

Chi vive lontano dalla nostra sofferenza, non potrà mai comprendere il “dramma”, il conflitto, le difficoltà che sono alla base del vivere, dell’aver rapporti con altri, del lavoro, del riposo, della vacanza che non può essere fatta dovunque si voglia.

52 anni sono trascorsi dalla prima diagnosi in quel lontano 1969, l’ultimo trapianto continua a funzionare ma ogni giorno il mio cuore si apre alla speranza di qualcosa di diverso, di nuovo, che consenta a voi colleghi dializzati di sottrarvi alla schiavitù a cui siete sottoposti.

Sappiate che la dignità e il coraggio sono stati e sono i miei fedeli compagni di viaggio, mi hanno consentito di affrontare giorno dopo giorno il calvario morale e materiale, guardando al di là dei periodi bui la luce che “deve” sempre esserci in fondo al tunnel.

La mia esperienza può essere una risposta valida e consolatrice alla disperazione cui molti di voi si abbandonano.

Forse queste righe potranno insegnare a non piegarsi mai passivamente di fronte alla sofferenza, ma di valutare la cosa col metro della pazienza, della costanza, per questo vi dico: non si deve mai perdere la speranza, non si deve mai smettere di lottare e di credere in se stessi… non si deve mai perdere la voglia di vivere… Mai!

Leggi anche la storia di Maria Rosaria Tammaro